domenica 19 novembre 2017

"No pasta, no show", un libro di Claudio Trotta


I sogni, talvolta, si avverano e, per alcuni, permangono come realtà oggettiva e costante. Claudio Trotta ha scritto un libro come fosse una sorta di regalo per i suoi sessant’anni. Il titolo del libro è “No pasta, no show” e non vi diremo la ragione che sta dietro a questa scelta perché è bello scoprirla nella lettura di questo testo scritto in maniera agile e rilassante ma che, nel contempo, racchiude una vita e, forse, anche più di una. Per chi ha il piacere di aver conosciuto Claudio Trotta, fondatore dell’agenzia di spettacoli Barley Arts, quello che certamente non è sfuggito è la capacità di quest’uomo di generare idee e di catalizzare attenzione. Fondamentalmente lui è un fan, è un appassionato di musica, è una sorta di ultrà buono del suono che ha avuto la determinazione di fare di una passione il suo lavoro. Rischiando, soffrendo, vincendo e perdendo ma, certamente, lavorando sempre con caparbietà ed attenzione, mettendocela tutta per rendere gli eventi musicali un piacere da condividere con il pubblico e lavorando in particolare per garantire la migliore fruizione della musica nella totale sicurezza. Cose magari scontate a pensarle ma non sempre rispettate. 

Ma chi ama la musica non può permettersi di abusare della pazienza e dell’affetto del pubblico ed anche per questa ragione, in maniera determinata ed andando controcorrente, Trotta si è imbarcato nella “madre di tutte le battaglie” contro il secondary ticketing, quel cancro che, se non fermato, ucciderà la musica dal vivo soprattutto di quegli artisti che non hanno alle spalle grandi produzioni e grandi budget. Proprio perché la sua è passione ed amore per la musica si comprende la determinazione del promoter milanese nel combattere questa attività che non si può non ritenere come criminale. La lettura della storia è illuminante perché racconta di come sia stato possibile ad un “signore” incapace di suonare alcuno strumento organizzare i concerti di alcuni tra i più grandi artisti mondiali e buttiamo sul tavolo, a mò di carta da scopa, i nomi di Bruce Springsteen, Frank Zappa, Stevie Wonder, Van Morrison e via leggendo (mica possiamo scoprire il resto delle carte…). E questi i concerti dei grandi artisti per non parlare dei grandi artisti all’interno delle rassegne musicali…e giusto per capirci buttiamo ancora sul tavolo due grandi eventi quali sono stati “Monster of rock”, con il meglio del “metallo” degli anni ’90 e le tre edizioni di “Sonoria” che hanno visto la presenza di artisti strepitosi quali, tra le decine e decine, vogliamo ricordare Bob Dylan e Peter Gabriel…giusto per dare l’idea…(che poi la rassegna sia stata proposta proprio nel quartiere in cui abito è uno di quelle situazioni che fanno aggiungere una lode al giudizio, ma questo è un fatto meramente personale…). 

Ma al di là del fatto musicale (eccelso, senza dubbio…) quello che di questi eventi è opportuno che venga ricordato, fu l’attenzione al contorno con la presenza di realtà non solo musicali bensì anche di supporto alla musica con stand di varia natura, usi e consumi, che fossero propedeutici alla migliore fruizione della musica contemplando, quindi, una logica che superava il “solo” evento musicale ma che cercasse di stimolare lo spettatore ad allargare lo sguardo in differenti direzioni che non fossero legate alla sola presenza del fatto musicale. La lettura del libro è davvero interessante perché scorrevole ed in certe pagine diviene una sorta di flusso di coscienza tra eventi semiseri (come si legge nel capitolo “In prigione, in prigione!”) e fondamentali quale l’inizio della carriera di promoter con il primo concerto organizzato dalla Barley Arts (vedi al capitolo “Il debutto della Barley Music: John Martyn, maggio 1979”). In ogni pagina si respira la gioia (ed anche le preoccupazioni nel far tornare i conti, nel fare una bella figura con gli artisti, nel mantenere alto il nome dell’agenzia nel mondo dello spettacolo) dell’incontrare tanti artisti, con i loro pregi ed i loro difetti e vederli all’opera sopra e fuori dal palco per poterne anche pesare il valore umano oltre che quello musicale (e le pagine del capitolo dedicato ai Guns N’ Roses sono esemplari al riguardo…). 

Una storia a parte è quella che riguarda il folletto del New Jersey…ovviamente parliamo di Bruce Springsteen per il quale Trotta una predilezione particolare sia dal punto di vista professionale ed artistico che da quello umano. Una predilezione che è evidente in tutte le pagine in cui si parla del rapporto speciale che si è instaurato sia con l’artista che con il suo management. Un rapporto di fiducia e fratellanza che appare quasi irreale e fiabesco se rapportato al “cannibalismo dei rapporti” che esiste nel mondo dello spettacolo e del businness ad esso afferente. Nel rapporto che si è instaurato tra Trotta e Bruce si può percepire, nettamente e nitidamente la fiducia che quest’ultimo ripone nei confronti del manager italiano così come il rispetto assoluto che questi ha nei confronti di Bruce. E questo, scusate se è poco, rappresenta davvero una sorta di pietra miliare in un mondo, quello dello spettacolo (e non solo, ovviamente…) in mano alle grandi corporations che utilizzano uno stuolo di avvocati prima di iniziare qualsiasi rapporto di collaborazione.  

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