Lei è autentica. Non ha fronzoli né
veli da mostrare. E’ quella che appare nelle sue canzoni figlie e frutto di un
vissuto pieno di luce, così come luminosa è la sua Sicilia. Carmen Consoli non è la meteora che
molti potevano immaginare in quel tempo ormai lontano in cui la canzone
italiana vedeva nascere decine e decine di artisti e gruppi colmi della voglia
di fare bene, di fare proposte nuove, di affrancarsi dai numi storici della
canzone italiana, d’autore o meno che fosse. Carmen Consoli è stata (ed è) una
fuoriclasse in quanto è stata prima in tante occasioni artistiche. Tra le tante
è stata la prima artista femminile a suonare, in un concerto “solo” allo stadio
Olimpico. Oppure è stata la prima artista donna a vendere 300 mila copie di un
album (in questo caso “Stato di necessità”). Ci fermiamo
qui per non abusare della pazienza del lettore o per non rendere agiografica la
figura dell’artista catanese che, proprio per il suo essere “sicula”, riesce a
contemperare l’ansia di libertà e ribellione a quella di introspezione ed
apertura verso l’infinito. Il suo anelito è quello della sincerità ed in questo
è prettamente siciliana in quanto la Sicilia, quella vera ed autentica non
quella che prevarica con la violenza ed il malaffare, nella sincerità immerge
la sua anima ed il suo sentire. Non per niente, come lei stessa ha raccontato,
i suoi genitori sono stati i primi ascoltatori delle sue canzoni, sia nel
periodo amatoriale che in quello successivo della professione.
Non
necessariamente i temi delle sue canzoni sono personali ed autobiografici, ma
certamente è la vita che ruota intorno a lei che rende possibile la costruzione
di testi e musiche. E’ la vita che le ruota intorno che si trasforma in
elemento di ispirazione che si coagula all’interno delle sue canzoni. Una vita
necessariamente con il cuore siciliano, una vita che cerca, con forza, di
mettere in rilievo sensibilità nascoste che, grazie alle canzoni, rendono
possibile la costruzione di storie di incredibile originalità come, ad esempio,
avvenuto con una canzone come “In bianco e nero” dove viene narrata la storia
di un rapporto tra madre e figlia. Il tutto nato dal ritrovamento di vecchi
foto in bianco e nero che ritraevano la mamma dell’artista da piccola. Pur
senza essere autobiografiche molte delle sue canzoni sono comunque bozzetti di
vita che richiamano ad eventi reali oppure verosimili con una forte
connotazione “antropologica” e “tribale”. Considerando questi concetti nella migliore
accezione possibile e, soprattutto per il secondo, non divisivi. Forte per la
Consoli il rapporto con la propria famiglia, molto siciliana nell’attenzione
alla crescita della propria figlia che, a tredici anni, già suonava nei club di
Catania. Città, questa, da sempre denominata la Milano del Sud per la sua
carica di particolare realtà “eversiva” rispetto al “santino” della Sicilia
classica. Una città che ha saputo essere diversa dal resto dell’isola. Vuoi per
la vicinanza dell’Etna, che mette in luce una sorta di evidenza della
provvisorietà nella quale ciascuno di noi deve sentirsi collocato. La
provvisorietà della luce, che si alterna alla notte. La provvisorietà della
terra, spesso spaccata e coperta dalla lava. La provvisorietà del desiderio di
essere parte integrante della terra e del desiderio, sempre impellente, di
allontanarsi dal pericolo.
Attenzione alle figure di riferimento famigliare
come una sorte di tributo agli antenati ma, anche, attenzione ai propri
coetanei come elemento di genuino desiderio di essere parte integrante del
mondo così come si andava e si va a conformare nei nostri tempi che, seppure
grami, sono sempre la nostra realtà. La sicilianità della Consoli è anche
intriso della voglia di tragedia, che l’isola ha sempre respirato ma, anche, di
sdrammatizzare quanto più possibile ciò che accade, anche le cose magari non
gradite. E le canzoni della Consoli raccontano anche queste storie di vita
corrente, di persone normali, di chi osserva la vita e la realtà con un
distacco che si allontana dai solchi “del sangue” per mantenere in vita
soprattutto quelli della luce, del sole, del calore che ti abbraccia e ti rende
parte dell’isola e della sua storia. La Sicilia della Consoli è una terra che
guarda al futuro ben consapevole del passato ma, nel contempo, non imprigionata
perchè i legami che si sciolgono sono positivi mentre quelli che imprigionano
rendono il passato una zavorra che affossa ogni pensiero ed ogni desiderio di
“andare oltre” le apparenze e le consuetudini. Il suo modo di cantare e suonare
è colmo di energia, di potenza, di “clamore” lanciato verso gli spettatori o
gli ascoltatori che, a casa, in auto e/o dovunque sia possibile la fruizione
musicale; è una sorta di vaso di Pandora che, una volta aperto, spande tutta la
sua forza e potenza intorno a sé, consapevole della potenza evocativa della
parola che, nel suo caso, è come pietra nata dalla lava dell’Etna: calda e
dirompente quando erutta ma, poi, raffreddandosi, diventa capace di essere
elemento di suggestione profonda e sicurezza assoluta rispetto al dove poggiare
i propri piedi. E l’energia che la Consoli esprime trovò il perfetto connubio
in un altro siciliano doc, quel bravo manager ed appassionato di musica che
rispondeva al nome di Vincenzo Virlinzi,
troppo presto strappato alla vita, che con la sua piccola etichetta
discografica, la Cyclope, riuscì a dare vita ad una sorta di scuola catanese che
aveva, come faro distante (ma non troppo) il “quasi compaesano” Franco Battiato, da Jonia, residente a
Milo…occhi e cuore sempre spalancati sulle novità della vita.
Un “prodotto”
artistico, quindi, profondamente radicato nella Sicilianità perché questa è una
dimensione non solo acquisita per nascita bensì anche per vita, per continuità
nel fare, nel crescere, nel costruirsi orizzonti nuovi, come le canzoni della
Consoli hanno cercato di fare nel corso di una carriera apparentemente
“giovane” ma, invece, intensa e di ormai lungo corso. Essere siciliani, quindi,
come modalità di essere, scrivere, suonare, osservare la vita, costruire
percorsi di vita. Essere siciliani, dunque, come modalità di impostazione della
propria vita che non chiede altro che tramutare l’irrequietezza dell’età e
della crescita, in una sorta di mondo pacificato, grazie alla raggiunta
maturità dell’animo e dell’esperienza della vita. Ma per potersi esprimere
nella migliore maniera, le radici ed il dialetto della Sicilia sono l’elemento
fondante della vita artistica della Consoli, unito, anche, alla modalità di
presentazione delle canzoni, la gestione della voce, le intonazioni, le giuste
inflessioni vocali, la capacità di costruire melodie ed armonie senza effetti
particolari, senza la ricerca dell’espressività “fuori dalla norma” oppure
leziosa ed ammiccante. No, la personalità dell’artista catanese è sempre diretta,
forte, potente, sanguigna, talvolta ancestrale, sempre alla ricerca della
parola scavata nella terra, ricercata nell’emozione delle viscere. Una parola
che, sposandosi con la musica, riesce a dare un senso compiuto alle storie
raccontate. Che tengono, che non si sfaldano, che non si accontentano di un
primo ascolto ma che ne pretendono altri per riuscire, alfine, ad immedesimare
l’ascoltatore nella canzone che, avvinghiandolo, lo porta, con le sue spire,
nel profondo del mare, nelle sue profondità esistenziali. Possibile…? Si,
possibile…perché nella vita artistica della Consoli si scopre e si evidenzia
una coerenza di fondo che non è mutata dagli esordi fino ad oggi. Negli otto
album in studio fino ad oggi pubblicati si può leggere una storia in tante
puntate.
Certamente, la crescita artistica porta a mutamenti ma, nel contempo,
non si è scolorita la trama, la tessitura, l’organizzazione di un patchwork che
vede nella completezza di un discorso artistico il senso dell’agire e del
creare da parte dell’artista catanese. Un patchwork continuamente lavorato,
elaborato, ritessuto fino a quando ogni cosa non è al suo posto e, con la
maturità del tempo presente, posto nel suo giusto ambito di fruizione. Se la
Sicilia è un dono di Dio, come affermato in varie interviste dalla Consoli non
si può prescindere dall’immaginare che nelle sue canzoni sono presenti alcuni
elementi della sicilianità più evidente ed, anche, più nascosta. Le radici,
presenti nella propria famiglia (almeno nell’ambito paterno), che si sono insinuate,
autorevolmente, nella sua vita, rendendole possibile uno sguardo intenso e
disincantato sulle possibilità/avversità dell’esistenza di ciascuno. Il
dialetto, come elemento di comunicazione, forte anche nel silenzio quando gli
sguardi valgono più di un discorso, di un ragionamento, di una spiegazione. Il
silenzio come metafora del poco o nulla che si fa tanto. Ed allora il silenzio
diventa, paradossalmente, una canzone nella dimensione che ciò che conta non è
quello che si ascolta bensì ciò che si cela tra una strofa, il ritornello ed
un'altra strofa dove, nel mentre si canta, il mondo interiore ti e si
trasforma. E se il dialetto è il collante con la storia, l’antenna che mette in
contatto con il passato ma, anche, con il presente ed il futuro, questa
identità mutuata dal linguaggio viene esaltata anche da quanto disseminato
nelle canzoni e nel modo di porgerle al pubblico. Il profumo e l’infinito del
mare in tutte le sue varie accezioni e possibilità. Tranquillità, agitazione,
profumo, vento…l’odore e la fragranza delle mandorle, solide o liquide, nei
differenti stati, per essere degustate a seconda delle occasioni. Il profumo
delle arance, intenso e grave, pieno di vita e di futuro, pieno di sapori, così
come ricco di sapori è il gusto delle arance di Sicilia insieme al profumo dei
suoi limoneti.
E poi l’Etna, pieno di fiamma e di fuoco, come un eterno
calderone che fa bollire il fuoco degli Dei così come idealizzate come parole
degli Dei sono le parole che affiorano dalle canzoni della Consoli che pur
giovane già riusciva a costruire piccole-grandi storie di quotidianità ma,
anche, di splendori a venire. La bellezza che circonda la Sicilia, questo un
altro degli obbiettivi ricercati dall’artista catanese. Una bellezza piena di
luce e di ricca di sfumature, accecante, depistante, calda, colma del desiderio
di raggiungere, in ogni dove, l’animo umano, anche quando questo è “disturbato”
dalle difficoltà della vita. Allora l’obbiettivo dell’arte della Consoli è
anche quello di “cercare la bellezza che ci circonda” e la sua musica ha, tra
gli altri, proprio lo scopo di raggiungere questo risultato. Ricercare la
bellezza così come appare guardando il mare dalla cima dell’Etna; ricercare la
bellezza così come appare camminando tra i limoneti e gli aranceti della Conca
d’Oro; ricercare la bellezza tra le cantilene e le storie antiche cantate dalla
grande Rosa Balistreri, che la
Consoli ha interpretato in maniera mirabile; ricercare la bellezza
attraversando i monti della Madonie; ricercare la bellezza rimanendo in
silenzio osservando lo sciabordio del mare tra le cale delle isole antistanti
Trapani; ricercare la bellezza lasciandosi alle spalle il monte Pellegrino,
volando verso il continente. Ricercare la bellezza componendo canzoni che
raccontano le storie antiche anche quando non sono pronunciate ma solo
immaginate, sussurrate, sottintese, attese…Una bellezza scevra da barocchismi,
una bellezza limpida, lineare, infinita…Una bellezza che teme di essere troppo
bella per essere vista direttamente negli occhi. La Sicilia di Carmen Consoli è
la terra degli eroi normali che non hanno paura di avere paura.
E’ terra abitata
da eroi normali, come suo padre, che ha vissuto una vita “normale” diventando
un inevitabile eroe agli occhi di sua figlia. E’ la terra del pessimismo di Luigi Pirandello e del verismo di Giovanni Verga. Una terra dove tutto è
chiaro e scuro nello stesso modo. Dove tutto è evidente e, insieme, nascosto.
Una terra dove all’euforia fa spesso seguito alla depressione e dove dal
silenzio si passa alla loquacità. Una terra in cui è necessario rimanere per
poter continuare a respirare quell’aria necessaria a dare impulso alla
creatività, alla fantasia, alla libertà. Una terra da cui partire per
conquistare “un posto al sole” della notorietà artistica e dove nascondersi non
appena si ritorna, quasi che la Sicilia sia da considerarsi come un’Itaca mai
raggiunta ma sempre ricercata e sognata. E allora nell’isola si rimane per
cambiare e cambiarla, per potersi abbeverare alle sue fonti, antiche e cangianti,
che hanno plasmato l’animo dell’artista catanese, mantenendo la sua vita ben
salda sulle rocce laviche dell’esperienza. Questo è uno dei segreti dell’arte
della Consoli che riesce a mischiare tutto con grande sapienza ed interiorità,
mostrando gli aspetti più nitidi ed euforici insieme a quelli sfumati e celati
dalla malinconia. Ma la sicilianità della Consoli, frutto di modi estremi di
guardare ed affrontare la vita, è così potente da non crearle difficoltà nel
presenziare, unica italiana, a partecipare al concerto-tributo per
l’anniversario della morte di Bob Marley
tenutosi nel 2005 in Etiopia oppure, come
avvenuto nel 2004, la Consoli è stata
la prima italiana a partecipare, ad Austin (Texas) al Festival denominato South
by Southwest. E questi sono solo due di una serie di successi e primati
da fare tremare i polsi pensando alla giovane età in cui Carmen Consoli ha
iniziato a cimentarsi nella discografia oppure, da prima, a salire sopra un
palco.
La sua carriera è stata travolgente, quasi nascosta, per certi versi pur
avendo venduto oltre due milioni di dischi, partecipato a rassegne di varia
natura, Sanremo, accumulato premi e riconoscimenti da riempiere un stanza,
essere stata nominata Cavaliere al merito, essere stata la prima donna a
vincere una targa Tenco per io miglior album (“Confusa e felice”). Ricevere complimenti da personaggi quali Elvis Costello eDavid Byrne, che di musica, di arte e di successo se ne intendono. Carmen
Consoli è un’artista davvero unica ed originale, di profilo basso, mai
presenzialista, sempre protesa “al togliere che ad aggiungere”. Scevra da
nevrosi da diva o rock star, assolutamente non presenzialista, da brava
siciliana pone innanzi a tutto la sua capacità di essere credibile nel campo
dell’arte e nulla più, decisa a farsi notare solo grazie alle sue doti
artistiche che, con il mai troppo compianto Virlinzi, hanno potuto diventare
realtà diffusa e conosciuta, apprezzata e gradita, anche grazie ad un modo
d’essere spiazzante ed originale. Una donna che si è fatta largo in un mondo
maschilista dove l’altra metà del cielo deve essere furibondamente brava per emergere e lei brava lo è davvero tanto da
meritarsi l’onore di essere nominata, nello scorso anno, Maestro concertatore
ne “La
Notte della Taranta”, riscuotendo, anche in questa veste un meritato
plauso per la qualità del suo lavoro ormai ventennale nato partendo dalla
canzone Quello che sento con la quale partecipò al festival di Sanremo
“Giovani” ed inclusa nel suo primo album, “Due
parole” al quale seguì, tra le altre partecipazioni, la presenza alla Festa
del 1° Maggio in Piazza Santi Apostoli, a Roma.
Ma è con l’album “Confusa e felice”, e con l’omonima
canzone con la quale partecipò al Festival di Sanremo del ’97, che la Consoli
si impose come elemento nuovo, vitale ed originale della discografia italiana.
L’album fece il pieno dal punto di vista delle vendite trainato sia dalla
canzone-titolo che dalla presenza di brani originali ed affascinanti nei quali
la Consoli declinava i suoi interessi e le sue sensibilità quali, in
particolare, Per niente stanca, Un sorso in più, Fino all’ultimo. Neanche il
tempo per dormire sugli allori e la “piccola” Carmen (allora ventiquattrenne)
sforna, nel ’98, un altro gioiello qual è “Mediamente
isterica” che ha un tiro musicale più rock rispetto ai due precedenti
lavori. La fonte di ispirazione del lavoro è, in parte, la figura della donna
come ritratta in Besame Giuda, Geisha, Contessa miseria. Anche se le vendite non
raggiungeranno il “botto” del precedente album, questo è, probabilmente, il
lavoro più significativo dell’artista catanese, dove ai testi sempre pregnanti
e profondi, si uniscono sonorità originali, fresche, accattivanti, attraenti. Insomma,
nuove…Il quarto album, del 2000, è “Stato
di necessità” che pone la Consoli nello zenit delle vendite con oltre 300
mila copie vendute che, per il momento gramo della discografia mondiale, è un
signor risultato. Nell’album figura il brano L’ultimo bacio che funge
da colonna sonora dell’omonimo film di Gabriele
Muccino. Rispetto al rock preminente nell’album precedente, in questo
lavoro il clima è più quieto, sorretto dalla presenza degli archi che donano
all’album un inusitato e gradevole equilibrio sonoro. Nell’album, inoltre,
spiccano la presenza della canzone In bianco e nero, brano dedicato
alla mamma e presentato a Sanremo, edizione del 2000, e Parole di burro, uno dei
suoi brani più rappresentativi. Questo album sarà pubblicato, nel 2002, anche
sul mercato francese con il titolo “État
de necessité” con l’aggiunta di
brani di altri album. Sempre del 2002 è l’album “L’eccezione” che, già
con l’omonimo brano presente nell’album, riflette i nuovi umori musicali
dell’artista catanese, virati su sonorità più morbide ed acustiche.
Questo
album rappresenta davvero una sorta di ritorno alle origini, forse l’album più
palesemente con la voce “sicula”, con l’atmosfera interiore che cerca di dare
nuovo senso ad un vissuto lacerato tra isola e continente. E’ un album
fortemente emotivo che nasce dai rintocchi della maturità o della scoperta
delle proprie radici, delle proprie origini, del senso profondo della vita. Fiori
d’arancio (uno dei suoi brani migliori), Masino, Mulini a vento,
Pioggia d’Aprile sono alcuni degli episodi che sostengono la forza di
un lavoro che, nuovamente, modifica gli orizzonti artistici della Consoli ormai
ben consapevole e padrona dei propri mezzi artistici. L’album venderà oltre 200
mila copie confermando la Consoli come un artista capace di tenere testa a nomi
altisonanti (e maschili) della discografia italiana. Nel 2005 è da segnalare la
canzone I giorni dell’abbandono, colonna sonora dell’omonimo film
di Roberto Faenza.Ci vorranno quattro anni per rivedere nei negozi un
nuovo la voro della Consoli e nel 2006 arriva “Eva contro Eva” (che
rievoca il titolo di un film del regista Mankiewicz), forse che mantiene la struttura acustica del precedente
lavoro con venature di carattere simil esotico, incluso un duetto con la brava Angelique
Kidjo nel brano Madre terra. Questo rappresenta, almeno nei
testi e secondo chi scrive, il lavoro più intenso in relazione alle storie
raccontate, alle vicende proposte all’ascolto (ed alla riflessione). Preghiera
in gola, La dolce attesa, Piccolo cesare, Maria Catena, sono bozzetti
di vita struggenti e potenti dal punto di vista evocativo. Così come lo sono
due brani molti diversi tra loro ma ugualmente ricchi di spunti e suggestioni, Il
sorriso di Atlantide e Sulle rive di Morfeo che hanno come collante e
legame ideale il tema del sogno e della sua interazione con la vita del
sognatore….Il 2009 porta con sé l’uscita di “Elettra” (Targa Tenco come
migliore album dell’anno) che vede, nel brano Marie ti amiamo un
duetto con un siciliano doc come Franco Battiato. Con ‘A finestra, con il testo,
cantato in dialetto catanese, si narra della trasformazione di una famiglia che
è la metafora dei cambiamenti nella Sicilia e nel Paese nella sua accezione più
ampia. E’ uno sguardo allegorico sulla trasformazione di ciò che è fuori di sé
e dentro se stessi.
Mio zio è un brano “oscuro e buio” che parla
di pedofilia in maniera incredibilmente chiara ma, al contempo, lieve. Un brano
il cui ascolto può anche dare disagio ma, al contempo, vuole essere l’immagine
di un urlo liberatorio. Elettra è, invece, una sorta di inno,
sobrio e lieto, del desiderio di rendere evidente l’importanza della donna nella
vita di ciascuno. L’ultimo album di studio, del 2015, è “L’abitudine di tornare”. Un album che
guarda ai fatti della vita, alle situazioni contingenti, alla crisi economica,
a tutto quello che accade introno a noi. Esercito silente, La notte più lunga, Questa
piccola magia, sono alcune delle gemme racchiuse in un album che rende
merito alla raggiunta (e superata) maturità artistica di Carmen Consoli. In
questo lavoro emerge la grande capacità narrativa della Consoli che sa
raccontare in maniera mirabile della condizione degli uomini e delle donne in
questi tempi difficili e ansiogeni. La ragazza è cresciuta, la “cantantessa” è diventata un artista con
la “A” maiuscola che ha raccolto una
serie di gemme e le ha inserite in un lavoro che si può considerare, per come
proposto nella sua completezza, il suo album più rappresentativo. La ragazza è
cresciuta ed è diventata saggia (ma forse lo era già da piccola…) e capace di
vedere, artisticamente, oltre l’orizzonte immediato. Il suo, infatti, è un
orizzonte che non ha confini perché anche da giovane non vi erano preclusioni
alle sue scelte musicali, ai suoi orientamenti culturali, alle sue dinamiche
artistiche interiori che sono sfociate, poi, in una carriera prodigiosa e ricca
di soddisfazioni. Vogliamo chiudere
queste righe rimandando tutto verso il testo di “ ’A Finestra dove si
possono cogliere letture e sfumature che solo il dialetto può e sa dare. Aprire
la finestra è un gesto semplice e quotidiano ma, ad esempio, vedere la foto del
giudice Giovanni Falcone che si affaccia, sorridente, ad una finestra riempie
il cuore di gioia e di speranza. Una speranza che la musica può arricchire e
rendere “arma” contro chiunque voglia rendere/ci la vita grama, buia, spinosa, dolorosa,
impaziente, triste e amara. Anche per questa speranza, disseminata a piene
note, diciamo grazie alla piccola-grande artista Carmen Consoli. Grazie perché
ha reso la Sicilia un po’ meno distante, artisticamente e culturalmente dal
continente; grazie perché ha dimostrato che il talento e la buona
organizzazione (Virlinzi, in questo, è stato fondamentale) possono generare
grandi risultati; grazie perché ha reso meno possibile, al grande Battiato, di
esaltare un brano come Tutto l’universo obbedisce all’amore;
grazie per aver sempre mantenuto una coerenza artistica non scontata,
soprattutto in questi anni; grazie per non avere reso la sua sicilianità una
macchietta popolaresca bensì un elemento culturale forte ed identitario; grazie
per aver mantenuto alto il livello artistico senza svendere il talento ad
operazioni commerciali di basso profilo; grazie per la sua capacità di
mantenere una giusta separazione tra attività pubblica e vita privata; grazie
per avere avuto il coraggio artistico di cambiare direzione musicale
praticamente in ogni lavoro; grazie per dimostrare, dal vivo, che lo studio di
incisione è importante ma l’empatia con il pubblico è un'altra cosa; grazie per
aver saputo dimostrare che il talento, l’indipendenza artistica, la forza di
volontà sono più importanti del marketing, dell’esposizione mediatica, della
“necessità” di esserci, sempre e comunque.
Leonardo
Sciascia pensava la Sicilia come metafora; Andra Camilleri l’ha disegnata come immersa in una perenne
indagine; Franco Battiato l’ha
cantata dopo averla “manipolata”; i vecchi cantori popolari l’hanno raccontata
dal loro punto di vista; Giovanni
Falcone, Paolo Borsellino e
tanti altri martiri l’hanno riscattata con il sangue; le maldicenze ed il
malaffare hanno cercato di piegarne la dignità ma poi, gli onesti ed i cuori
coraggiosi l’hanno, ogni volta risollevata dalle sue macerie. La Sicilia,
questa madre terra, che si perde nello sguardo verso il cielo e nel mare che
guarda verso l’infinito, con i miti e le civiltà di ieri, perdute ma non
dimenticate. E con i problemi e le angosce dell’oggi che, però, non si lasciano
sedurre dalla paura ma, anche grazie alla musica ed alla cultura, combattono la
loro battaglia. Senza rancori, magari con qualche paura, ma con la certezza che
la vittoria sarà sempre dalla parte giusta. E la parte giusta è fatta anche di
liriche e musica, di canzoni che ti catturano il cuore e l’anima e ti rendono
“prigioniero il cuore” come cantano, da millenni, le pietre laviche che nascono
liquide e poi, lentamente, si asciugano ed induriscono per poi, nuovamente
fondersi. Come giusto che sia nel ciclo della vita che si rinnova…E a noi non
resta che superare il confine di Scilla e Cariddi, evitando di fermarci al coro
delle sirene, Partenope, Leucosia e
Ligeia, perché, come Ulisse,
dobbiamo raggiungere altri lidi, seguire altri canti, fondare nuove città.
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