mercoledì 17 maggio 2017

Intervista a Davide Van De Sfroos - dal sito www.lisolachenoncera.it



All’inizio magari lo guardavano come fosse un eccentrico, un personaggio un po’ bizzarro perché cantare in dialetto, se questo non possiede una sua storia ben radicata nell’immaginario culturale e folklorico del Paese, è un rischio davvero troppo imponente da affrontare con cognizione di causa. Ma lui, Davide Bernasconi, in arte Davide Van De Sfroos, non si è mai curato delle opportunità commerciali ma ha sempre cercato di proporre un suo stile, un suo clichè artistico per il quale il tempo gli ha dato ragione. Ha iniziato quasi in sordina, supportato da uno zoccolo duro di fans che tutt’ora lo segue intrepido, ed è riuscito, anno dopo anno, album dopo album, concerto dopo concerto, a dimostrare che “la classe non è acqua” e quando il talento è forte, potente, definito, il resto è questione di tempo e prima o poi l’attenzione arriva…E l’arte di Davide Van De Sfroos, che si fa parola e musica, abbiamo cercato di “interpretarla” con questa intervista a distanza sempre più ravvicinata dal concerto allo Stadio Meazza di Milano…

Intanto sfatiamo una “diceria” e ricordiamo che il 9 Giugno non sarà la prima volta che suonerai allo stadio Mezza di San Siro perché già il 25 Marzo scorso…
E’ vero, suonare due canzoni da solo, con i piedi sull’erba del campo e una chitarra in mano, è stata un’esperienza sicuramente iniziatica; sugli spalti erano presenti ottantamila cresimandi con famiglie, in attesa del Santo Padre. Dopo quel giorno mi sono sentito diverso e meno agitato nell’attesa dell’evento.

E poi continuiamo chiedendoti quale è stata la molla che ti ha spinto a prendere questa decisione, oggettivamente “epocale” per la tua carriera e come ti stai preparando “all’evento”…
Non sono scelte che si prendono da soli e neanche tanto alla leggera. Mi è stata proposta dal mio staff la possibilità di dedicarmi alla preparazione di questo evento complicato e grosso. Alcune cose o si fanno o non si fanno, non si può rimanere a metà strada. Ho deciso di tentare perché mi sembrava il momento giusto, dopo tanti anni e tante vicende che hanno visto una grande schiera di persone sostenermi in tutti i modi. C’è qualcosa di simbolico in questa scelta che va oltre il risultato finale dell’evento. Ovviamente mi sto preparando con una grande promozione e cercando di pubblicizzare l’evento con tutti i canali possibili.

Tu, che hai suonato nei luoghi e spazi più disparati, non risparmiandoti anche realtà assolutamente marginali e periferiche, come pensi di affrontare il grande palco di uno stadio come il Meazza e con quale approccio sonoro?
Mi piacerebbe portare sul palco un riassunto di tutta la mia storia musicale, cercando di inserire nello spettacolo una buona parte dei brani e i diversi moduli di suono che negli anni hanno caratterizzato gli show. Non certo effetti speciali fuori luogo, ma semplicemente quello che mi appartiene.

Per il concerto verrà privilegiata la formazione in formato “folk” che ultimamente ti segue oppure saranno presenti i musicisti che, nel tempo, hanno rappresentato le varie anime del tuo suono dal vivo?
Ci saranno le latitudini più folk, poi una parte sostenuta dove emergerà la dinamica rock o power folk; non mancherà l’aspetto blues e neanche quello intimistico di qualche ballad...

Sicuramente al concerto ci saranno il Genesio, il Cimino, Nonna Lucia, Yanez e tanti altri dei personaggi che ci hai fatto conoscere…Come immagini che seguiranno il concerto? con quale spirito e quali aspettative…?
Alcuni personaggi saranno presenti nelle canzoni, ma altri saranno anche davanti al palco e si sentiranno sicuramente parte di un cerchio che non si è mai spezzato. Nelle mie storie i protagonisti sono sempre molto in evidenza e il flusso delle cose narrate, mi arriva dalle persone e dal territorio stesso. Una volta che salgo sul palco, ogni cosa ritorna in modo naturale ed emotivo alla sorgente, ovvero ai soggetti  diretti o indiretti e a tutti coloro che mi hanno tramandato determinate vicende. Sono in moltissimi a riconoscersi nelle trame dei testi e le canzoni a loro volta si specchiano negli occhi di chi le segue.

Io credo che tu abbia preso una decisione importante cioè quella di rendere visibile al grande pubblico della musica (che frequenta gli stadi per i grandi artisti stranieri e quelli dei grandi numeri italiani), anche un mondo artistico che qualcuno chiama “di nicchia” e che, invece, è vasto e pieno di talenti che avrebbe bisogno di essere conosciuto ed apprezzato in maniera più profonda e partecipata. Tu cosa ne pensi?
Io sono cosciente del fatto che la mia musica non passa per autostrade mediatiche, che difficilmente la senti in radio e che non viene sorretta automaticamente da questo sistema. Tutto è sempre avvenuto sul campo, con l’affetto e l’entusiasmo di chi la voleva tenere viva. E’ stato così al Forum di Assago, al teatro degli Arcimboldi, nelle piazze più disparate d’Italia  e perfino a Sanremo. Per cui, portarla in uno dei templi indiscussi dello spettacolo, significa volerla collocare per una sera, in mezzo a tutti quelli che fino a qui l’hanno resa possibile....e significa anche voler accendere i riflettori su di un intero mondo di persone che io canto perché esiste ed è sempre esistito.

Artisticamente hai fatto molti cambiamenti anche se, apparentemente, il tuo stile parrebbe uguale nel tempo. L’ultimo tuo lavoro “Synfuniia”, ha dimostrato che le tue canzoni sono naturalmente proponibili in modalità musicali differenti da come sono nate ed incise. Dobbiamo aspettarci altre sorprese rispetto a nuove modalità di proposta del tuo canzoniere e delle nuove canzoni? Questo anche in funzione dell’imprinting musicale dei musicisti che ti hanno, nel tempo, accompagnato?
Ho sempre cercato di lasciare scorrere la musica secondo le sonorità possibili e apparentemente contrastanti, ho sempre rincorso la contaminazione senza perdere l’identità del nucleo portante. Mi sono snodato e sporto dal balcone più che potevo per fare sì che l’acqua delle mie canzoni non rimanesse stagnante. Dopo avere sperimentato anche l’avventura sinfonica, sono ritornato alle radici e a tante latitudini primordiali. Per questo sul palco tenterò di portare tutte le sfumature possibili di questo lungo viaggio verso casa.

In una tua esibizione di alcuni anni fa al Teatro Nazionale apristi la serata con un brano di Enzo Jannacci, artista poliedrico indissolubilmente legato a Milano. Io rimasi colpito dal tuo omaggio al Maestro e lo collegai alla tua canzone “Quaranta pass” nella quale, a mio avviso, esprimevi, al meglio, l’insegnamento artistico di Enzo. Le vostre rappresentano generazioni oggettivamente lontane per ovvie ragioni di età e di “clima”. Un artista come lui cosa ha rappresentato per la tua crescita artistica?
L’artista Enzo Jannacci, difficilmente può essere scisso dall’uomo Enzo Jannacci. Enzo era quella cosa, quel modo, quel sound, quella rabbia e  quell’ ironia. Prendere o lasciare. O ti arrivava o non potevi capirlo fino in fondo. I suoi molti strati e il suo apparente sberleffo con una lacrima sempre sul punto di affiorare, mi hanno spesso messo in una condizione di emotività sperimentale. Un giorno mi strinse la mano fortissimo e mi trasmise senza barriere di nessun tipo il suo slancio affettivo. Fu una sensazione che raramente rincontrai e ogni volta che ho avuto la possibilità di fare un piccolo tributo ad Enzo, quella sensazione era ancora presente.

Con la scelta del dialetto “laghèe” hai fatto una scelta difficile che, certamente, ha sacrificato la tua visibilità a livello nazionale. Nel contempo, però, hai dimostrato che si può fare poesia anche cantando in dialetto; addirittura in uno di quelli marginali rispetto a quelli egemoni (romano e napoletano). Pur comprendendo che alcuni concetti ed alcune “cose” si possono esprimere solamente in “quel” dialetto, hai mai pensato di scrivere un album completamente in italiano…?
La scelta del dialetto è stata molto naturale e fisiologica, soprattutto in base alle cose che ho deciso da sempre di raccontare. Non è stato qualcosa di pianificato a priori o derivato da complesse architetture mentali. Posso dire che è capitato. Sentendo forte il richiamo per questa lingua e questo modo di esprimere le cose, faccio fatica a provare dubbi o pentimenti particolari. Alcune canzoni le scrivo in italiano e non ho problemi a cercare la mia libertà di espressione anche chiedendo in prestito altri suoni ad altre lingue o dialetti. Non ho fatto mai un contratto con me stesso, che mi obbligasse a cantare in dialetto....ma fino ad ora non ho mai avuto nemmeno l’esigenza di abbandonarlo totalmente per un disco in italiano. Le due cose convivono in modo naturale da sempre.

Hai scritto canzoni sul vento e sugli elementi della natura, sui minatori, sulla storia, sui contrabbandieri, sui fantasmi e sul tempo. Insomma, non ti sei fatto sfuggire niente (senza parlare dell’ambito letterario). Ora hai messo gli occhi (e le orecchie…) su nuovi filoni originali…?
Ho sempre  scritto di cose che in qualche modo mi invadevano prepotentemente e ancora oggi resto in ascolto e attendo, come una sentinella che si aspetta di vedere arrivare da lontano la prossima canzone. E’ un periodo in cui tendo a celebrare un ritorno, dopo avere viaggiato molto. Mi piace riguardare le persone nelle loro semplicità a volte perdute, tornare sui luoghi, prendere in considerazione i lavori della gente e i loro modi di pensare, lungo il nastro incerto del tempo. Negli ultimi lavori sono andato in profondità dentro le mie acque più oscure, facendomi anche male ogni tanto, ma sentivo che andava fatto. Ora voglio parlare di altro e di altri.

Dalle pagine de “Il Corriere della sera” hai anche intrapreso “lettura” della realtà delle piccole/grandi situazioni della vita che ci circondano. Cosa ti piace di più di questa esperienza?
L’esperienza di “Random”, i miei piccoli interventi sul corriere alla domenica, mi permette di fare un viaggio quasi psichedelico nei miei angoli sconosciuti. Spesso scrivo queste cose come sotto l’effetto di una dettatura interna, come se la mia ombra mi dicesse cosa devo scrivere, bisbigliandomi all’orecchio. Ho sempre avuto un debole per quel tipo di scrittura insolita e qui mi è stato messo a disposizione un contenitore dove potermi sfogare. Sono grato per questa opportunità perché mi aiuta molto.

Sei “la guida per i viandanti” del progetto “Terra & Acqua” con il quale hai fatto conoscere itinerari poco noti delle terre lombarde. Che cosa ti ha lasciato, interiormente, questo percorso? Quali “segreti” hai scoperto essere davanti ai tuoi/nostri occhi, di cui non ti eri mai accorto?
L’esperienza “Terra & Acqua” mi ha permesso di approfondire il territorio e di scoprire interi universi che avrei ignorato, pensando di conoscere tutto quello che, proprio perché vicino a casa, tendiamo ad osservare superficialmente. Queste guide, oltre ad essere utili al viandante straniero, sono importanti anche per noi, per scoprire o riscoprire casa nostra.

Per finire una carrellata sul libro che stai leggendo, sull’album (o canzone) che ti è piaciuto di più degli ultimi tempi e l’artista, contemporaneo, oppure lontano nel tempo, con il quale ti sarebbe piaciuto condividere un palco, magari quello del Meazza, per il tempo di una canzone…  
Sto rileggendo alcuni racconti di Conrad che riguardano la vita in mare e quelli di Jack London che hanno a che fare con il Grande Nord. L’avventura, l’ignoto, il viaggio costante dentro e fuori. Dovendomi spostare costantemente, queste letture un po’ mi aiutano a non perdere il contatto con la parte epica del movimento. Un musicista col quale condividerei un’esperienza è sicuramente Ry Cooder, per la sua varietà di suoni e per la poliedricità’ nello sperimentare nuove situazioni.

L’intervista è terminata e, rileggendola, ci si accorge di quante opzioni di lettura vengono proposte. Segno, questo, di una storia ormai ventennale che ha saputo esprimere una novità artistica che perdura e, disco dopo disco, dimostra di saper crescere e di avere ancora tanti margini di miglioramento e di estensione dei propri orizzonti. Un grande augurio, quindi, per il concerto del 9 Giugno al quale, certamente, non mancheranno tutti color che amano la buona musica, le liriche inconsuete ed, infine, anche poter portare lo sguardo oltre l’orizzonte…

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