E’ partito il tour mondiale di
Bruce Springsteen ed ho avuto modo di vedere su you tube, come tanti, degli
spezzoni del concerto di Tampa. Un buon inizio con una impeccabile confezione e
lui sempre a dirigere la band. Un concerto che mi è piaciuto e che fa ben
sperare per le date italiane. Ho letto, però, anche molte critiche,
innanzitutto per la questione del “dynamic pricing” per i concerti americani (e
su questo, lui e il suo management, hanno commesso un errore imperdonabile).
Inoltre, molti hanno sottolineato il fatto che, ormai, ricco da tempo, il
leggendario pathos è ormai oscurato da questa condizione da benestante. Tutto
corretto ma, forse, fuori “fuoco” rispetto alla realtà del tempo che scorre e
all’età che avanza, inesorabile, per tutti. Non siamo più, da tempo, davanti al
Boss dei concerti al Main Point, al Roxy, al Winterland, a Passaic, a San Siro
prima che diventasse Meazza e ai concerti al Meazza del 2016. Ma quello che è stato
rimane. Rimane l’innamoramento dell’incontro di Greetings, lo stupore per il
suono di Wild, la potenza di Born e i leggendari concerti di Darkness e The
River…
E il primo concerto a Zurigo e
poi Milano. La ricerca dei bootlegs/vinile migliori (se mai ce ne fossero mai
stati), l’attesa per il nuovo album, gli articoli delle riviste musicali
preferite, l’aspettativa per il prossimo concerto (dove, quando…?), la gioia
della condivisione della passione delle sue esibizioni e l’indelebile memoria
di quei momenti irripetibili. Lui è diventato ricco (e non da oggi), ma ha
lottato (e immagino continui a farlo) con le sue depressioni. Noi, intanto,
siamo cresciuti con lui (e con tutti coloro che abbiamo reputato potessero aiutarci…)
e lo abbiamo scelto non per quello che era ma per quello che ci trasmetteva. Se
è diventato ricco meglio per lui, ma il punto è che se la sua ricchezza ci ha
fatto crescere la nell’etica, nella morale, nella dignità, nella poetica,
facendoci affacciare a mondi di bellezza e passione, di gioia e consolazione…allora
le sue ricchezze se le è guadagnate con sudore e fatica (come, per altro,
abbiamo visto nel corso dei decenni).
Ora, il Jersey Devil va per i
settanta quattro…non salta più, da tempo, sul pianoforte, non si lancia più sul
pubblico, non suona più a raffica per tre ore di fila ma…lo ha fatto per
decenni rimandandoci a casa dai suoi concerti più sfiniti (ma contenti) di lui.
La voce non sarà più quella dei bei tempi però la band gira come una macchina ben
oleata. Steve è tornato un figurino, Roy accarezza i tasti con la consueta perizia,
Gary è la solita, pastosa, macchina ritmica, Max…è Max…potenza e grazia,
Charlie è un delicato poeta della tastiera, Jake di cognome fa Clemons e onora
lo zio, Suzy è ormai inamovibile sul palco e Patty fa la sua doverosa parte.
Fiati e cori “cuciono” il tessuto della coperta che avvolge i sogni.
Non siamo più nel 1973, non
siamo più in cammino in un confine oscuro alla ricerca del migliore guado del
fiume. Ma in quel fiume siamo stati “battezzati” e ritornare ogni tanto alle
sue sponde ci fa bene: si ritrovano le radici, i ricordi, si cantano anche i
nomi di chi ci ha lasciato, si rivede la vita e, qualche volta, ci si
riconcilia con se stessi…Lui, è bene rendersene conto, non è più il “fratello”
Bruce, ma lo “zio” Bruce, anche nonno “Bruce”. Ma come le sue canzoni ci
rimane, inesorabilmente, incollato al cuore…